Di fronte alla rara occasione di ammirare dal vivo un capo del grande maestro della cosiddetta scuola giapponese, Yohji Yamamoto, la reazione del pubblico è sempre la stessa: silenzio e un'espressione che all'istante trasforma il volto a dire, molto semplicemente, 'Qui siamo oltre'. Oltre la moda, oltre le tendenze stagionali, oltre quello che abitualmente si può vedere in giro, oltre la noia dilagante del fare abiti con approssimazione.
In tempi sempre più critici per l'abbigliamento, dove sempre meno spazio è concesso al saper fare, dove i tempi di produzione sono sempre più compressi per contenere i costi e, soprattutto, aumentare i margini di guadagno delle aziende produttrici, riuscire ad intercettare un capo di Yohji Yamamoto è come trovare ristoro dopo un lungo vagare. Perché l'alta sartoria, applicata a modelli fruibili e dal design eloquente, può emozionare al pari di ogni altra nobile espressione artistica. E Yohji più che mai è abile tessitore di saperi antichi e sollecitazioni contemporanee, maturate in contesti metropolitani ad alta concentrazione di relazioni e riflessioni. Maturità che si riflette su ogni sua opera e che la giacca selezionata testimonia nell’intensità poetica del crepe de chine di seta, lavorata con antiche e laboriose tinture Ikat e nella radicalità dell'asimmetria laterale. Una diagonale posteriore accompagna il pannello più lungo in fantasia con la stessa armonia con cui, adagiandosi su un fianco, abbozza la silhouette femminile. La consistenza è impercettibile, meraviglia tessile che, in un capo costruito e finito con tale rigore, riesce a tradursi comunque in un indumento di inimmaginabile confortevolezza. Nonostante la devota passione di Yohji per le potenzialità formali del colore nero, un lato della giacca è interamente tinto con una sfumata velatura di viola con irregolarità blu e tradizionali decorazioni finali, a conclusione di un pezzo che solo una volta indossato, rivela in tutta la sua pienezza l'essere un vero e proprio capolavoro!